EDITORIALE DELLA FONDAZIONE
16 grandi tele dedicate ai costumi teatrali e cinematografici più celebri, realizzati dalla storica sartoria Farani: le opere di Antonella Cappuccio, alla Casa Museo Boncompagni Ludovisi di Roma sono state un evento internazionale, un percorso unico dove l’abito di scena è stato protagonista assoluto: memoria, identità e suggestione che dialogano con gli ambienti storici del Museo dedicato alle arti decorative, il costume e la moda del XIX e XX secolo, un luogo che, con abiti di stilisti, custodisce la storia del costume e della moda del Novecento.
Theatrum Mundi è il titolo della mostra, curata da Maria Giuseppina Di Monte e Tiziano M. Todi, con la collaborazione di Marina Casadio. Una ricerca, quella della Cappuccio, cominciata nel 1997, con i ritratti di una serie di costumi scollegati dai corpi che li hanno abitati. Le sue tele, a grandezza naturale, adesso sono divenute più ariose, con colori più trasparenti, pennellate più minuziose, attente ai dettagli, alle pieghe degli abiti, alle figure che appartengono alla letteratura, al teatro, all’opera e alla commedia dell’arte: Ofelia, Don Chisciotte, Orlando, Arlecchino, Papagheno, Pierrot e Casanova, ogni personaggio ha rappresentato un’epoca ed è stato al centro del palcoscenico del mondo: i loro costumi hanno segnato la storia dello spettacolo, da Visconti a Zeffirelli, da Pasolini a Ronconi e la sartoria Farani, dove la Cappuccio ha lavorato da giovanissima, li ha realizzati con costumisti come Piero Tosi, Gabriella Pascucci, Maurizio Millenotti, Danilo Donati, capaci di collegare – come ha detto Tiziano M. Todi – un linguaggio di avanguardia e di rottura, la tradizione e la ricerca visiva. Del resto Tiziano M. Todi aveva già ospitato Antonella Cappuccio nella sua galleria a via Margutta, con la personale “Lettere dal Tempo”, dieci opere su carta, dieci disegni con quattro grandi arazzi, una mostra a cura di Silvio Muccino che è stata un invito alla contemplazione lenta di opere che non urlano ma sussurrano. Un alfabeto visivo potente e silenzioso – le ha definite Tiziana Todi – e, secondo Muccino, “fantasmi del tempo accolti nelle mani della Cappuccio e liberati sulla carta”.
E’ la stessa Cappuccio ad affermare che “disegnare per me è come scrivere con il silenzio. Non cerco un forma compiuta, ma l’eco di qualcosa che resta. Ogni opera è una lettera, indirizzata a un tempo che non ha orologio”.
Alfio Borghese
Novembre 2025 © Alfio Borghese

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