EDITORIALE DELLA FONDAZIONE

Alla Sapienza si alza il grido delle studentesse, protesta transfemminista per Ilaria e Sara

Un corteo che accende il cuore dell’università.

Alla Sapienza si alza il grido delle studentesse, protesta transfemminista per Ilaria e Sara

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Fumogeni, striscioni e vernice viola davanti alla Minerva, gli studenti rivendicano spazi sicuri e memoria collettiva.

Nel cuore della città universitaria della Sapienza di Roma, circa duemila studenti e studentesse hanno invaso i viali in un corteo denso di emozioni, simboli e richieste urgenti. Dopo il presidio iniziale in piazzale Aldo Moro, il fiume di corpi e voci si è mosso tra fumogeni viola e fucsia, sotto lo sguardo partecipe e gli applausi di chi assisteva. Uno striscione in testa al corteo portava la scritta “Sapienza transfemminista. Bruciamo tutto”, già visto in precedenti manifestazioni dei collettivi studenteschi.

Minerva, simbolo colpito dalla rabbia e dalla speranza

Il corteo ha raggiunto la statua della Minerva, simbolo dell’ateneo romano, dove sono in corso lavori di restauro. Alcuni manifestanti hanno forzato le grate di protezione, lanciato vernice viola sulla fontana e scalato le scale del rettorato. Non è un gesto casuale, ma un atto performativo e di rottura: la rabbia che colora lo spazio accademico è carica di una domanda di giustizia e sicurezza. La Minerva, dea della sapienza, si ritrova oggi involontaria testimone di un grido collettivo che chiede ascolto.

Un grido per chi non ha più voce

“Siamo il grido altissimo e feroce di tutte quelle donne che più non hanno voce”: è con queste parole che si è alzata la voce dei collettivi, accompagnata da scritte sull’asfalto come “Sorella non sei sola” e da slogan che hanno attraversato l’intera università. Ilaria, Sara, e quell’“tutt3” scritto in linguaggio inclusivo, sono i nomi e i volti simbolici di una battaglia che mette al centro la dignità e la sicurezza di chi vive quotidianamente spazi accademici troppo spesso segnati da discriminazioni, molestie o silenzi.

La protesta come forma di cura collettiva

L’azione alla Sapienza è stata definita “trasgressiva” da alcuni osservatori, ma per chi ha partecipato rappresenta piuttosto una risposta politica e affettiva a un dolore condiviso. Il movimento transfemminista che cresce nelle università italiane non si limita alla denuncia: vuole trasformare gli spazi, renderli realmente accessibili, accoglienti e protettivi per tuttə. Non si tratta solo di simboli, ma di esistenze. Di corpi che chiedono spazio e voce. Di nomi che non vogliono più essere dimenticati.

L’università come spazio di lotta e costruzione

Rivendicare le strade dell’università è, in questo contesto, anche un gesto di riappropriazione. Non si chiede solo più sicurezza, ma anche più consapevolezza. La Sapienza diventa teatro di una manifestazione che richiama tutte e tutti alla responsabilità collettiva, a non girarsi dall’altra parte, a non banalizzare. I collettivi parlano di una trasformazione necessaria che parte dal basso, dalle aule, dai corridoi, dai momenti di socialità, perché è lì che si costruisce o si nega la possibilità di sentirsi al sicuro.

Una lotta che attraversa il tempo e i nomi

Lo striscione finale lasciato sulle grate, “Per Ilaria, per Sara, per tutt3”, racchiude il senso profondo di questa mobilitazione. Non si tratta solo di nomi, ma di storie, di esperienze, di vite spezzate o messe a tacere. E di un movimento che rifiuta il silenzio. La protesta della Sapienza non è un episodio isolato, ma parte di una rete più ampia di mobilitazioni che in tutta Italia e in Europa chiedono lo stesso: rispetto, ascolto, protezione. E soprattutto cambiamento.


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07 Aprile 2025 © Redazione PANTAREI Fondazione Premio Antonio Biondi

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