EDITORIALE DELLA FONDAZIONE

Passeggiando per Roma

Piazza di Sant’ Agostino a Campo Marzio

Passeggiando per Roma

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Tra i Rioni di Roma più belli da vedere, c’è sicuramene quello di Campo Marzio, vicino al Rione Pigna in
cui si trova il Pantheon di cui avevo parlato precedentemente.

A pochi passi da Piazza Navona, che da sola merita un ampio discorso, ci sta Via di Sant’Agostino che
occupa parte dell’area delle Terme Neroniane ed Alessandrine, e si arriva alla Basilica di
Sant’Agostino, sull’omonima Piazza su cui si trova anche la Biblioteca Angelica.

Questo luogo si dice essere la Roccaforte Agostiniana a Roma, in quanto tutto ciò che c’è intorno
nasce come luogo di residenza degli Agostiniani: la Basilica dedicata a Sant’Agostino è una Basilica
quattrocentesca che è stata poi rifatta nel corso degli anni; nel Settecento ci lavora nella facciata
addirittura Vanvitelli, uno dei più grandi architetti del tempo, e questo ci fa capire quanto avessero a
disposizione gli Agostiniani per migliorare la loro Basilica.

Ma non è della chiesa che intendo parlare, ma di quello che la rende famosa al suo interno: a parte, tra
i tanti capolavori custoditi nella chiesa, l’altare maggiore del Bernini, un dipinto del Raffaello che
raffigura Isaia, il Sant’Agostino nella crociata della chiesa del Guercino, a sinistra dell’entrata c’è una
piccola cappella con una meravigliosa opera di Michelangelo Merisi detto il Caravaggio, la cosiddetta
Madonna dei Pellegrini o Madonna di Loreto.

Il dipinto fu commissionato dagli eredi di Ermete Cavalletti, nobile bolognese che in punto di morte
aveva lasciato disposizioni affinché la cappella di famiglia, un tempo appartenuta ad una cortigiana di
Cesare Borgia, fosse decorata con un dipinto che raffigurasse la Madonna di Loreto di cui era devoto.

La grande tela raffigura una giovanissima Maria come una donna comune, scalza, vestita con abiti da
popolana, con i capelli castani raccolti sul capo: non somiglia a nessuna delle Madonne dipinte fino
ad allora per le chiese di Roma, una Maria che siede tra le nuvole, in trono tra gli Angeli, con un manto
celeste che le copre i capelli, come rappresentate da Giotto o da Cimabue.

La Vergine sta a piedi nudi sulla soglia fredda e polverosa di un vecchio e malandato palazzo di un
quartiere malfamato, con l’intonaco scrostato che lascia intravedere i mattoni, e mostra a due poveri
pellegrini devotamente inginocchiati (da qui anche il titolo di Madonna dei Pellegrini), con i vestiti
rattoppati e i bordoni (i bastoni da homo pellegrinus), un florido Bambino benedicente. Anche il
Bambino non ha nulla di divino: nudo e paffuto, è un bambino qualunque.

La posizione della Vergine in punta di piedi e con le gambe incrociate con noncuranza, come se
stesse attendendo qualcuno sulla porta di casa, fece gridare allo scandalo. La posa, infatti, richiama
quella che le numerose prostitute di Roma assumevano davanti agli usci delle loro case per adescare
i clienti.

La modella utilizzata per la Madonna fu Maddalena Antognetti, detta Lena, una prostituta, anzi, una
cortigiana d’alto borgo che frequentava ricchi notabili e cardinali, abituale modella nonché amante
dello stesso Caravaggio.

Sembra che Lena abbia posato per il Caravaggio contro la volontà del suo spasimante, il notaio
Mariano Pasqualone, che fu aggredito dallo stesso Caravaggio con una scure a Piazza Navona:
Caravaggio si rifugiò nella chiesa di Sant’Agostino e poi, per sfuggire all’arresto, scappò a Genova.

La scelta più che una provocazione era di natura filosofica e teorica: i soggetti sacri sono persone del
popolo, diseredati, in cui i fedeli possono riconoscere sé stessi e la loro condizione, essendo tutto più
naturale perché vicino alla realtà, un’estetica molto distante dai dipinti in cui venivano raffigurati
giovani cavalieri con abiti eleganti e preziosi.

Ma questa scelta era vista però nel Seicento come una mancanza di decoro perché ovviamente veniva
messa totalmente in secondo piano la sacralità della scena, visto che i soggetti di Caravaggio erano
come detto gente comune e cortigiane, non solo di malaffare ma anche oneste.

Allo stesso modo anche i piedi sporchi di terra, la pelle tesa dal gonfiore del pellegrino in ginocchio e
la cuffietta stracciata e sporca dell’anziana donna, che alludevano con forte realismo alla bassa
estrazione sociale della maggior parte dei fedeli che venivano a Roma per il Giubileo del 1600, furono
letti dagli ambienti ecclesiastici come una inopportuna identificazione dei personaggi con i
mendicanti romani, dei quali era allora “impossibile andare per via senza esserne circondati”.

Il Bambino, che per età e fattezze è forse il più grande mai realizzato, è il figlio di Lena, Paolo, che
all’epoca avrebbe dovuto avere circa due anni: è l’unica figura in piena luce; anche i volti dei due
pellegrini ne sembrano illuminati per riflesso, il che sottolinea in modo simbolico anche la funzione
salvifica di Cristo.

I colori del dipinto sono terrosi e vanno dal marrone scuro all’ocra. Solo l’abbigliamento di Maria ha i
colori primari tradizionalmente legati alla sua figura e leggermente più saturi come il rosso della veste
che rappresenta la passione e il blu del mantello che rappresenta l’Assemblea della Chiesa.

La luce direzionale proviene da sinistra in alto e colpisce le figure a tratti, evidenziando solo alcune
loro parti. I personaggi che emergono dal buio sono una nota caratteristica della pittura di Caravaggio,
che riesce a creare sempre un clima drammatico e sacro: Maria e il Bambino sono illuminati quasi
interamente, con la pelle chiara, liscia e pura.

Una curiosità: come si sarà già capito, questa Basilica era un unicum in città perché era la basilica
dove erano ammesse alla preghiera le prostitute romane.

Come già accennato, non solo la cappella della Chiesa era appartenuta ad una cortigiana: l’amante
preferita di Papa Giulio II ottenne che al suo funerale fosse presente anche il Pontefice; all’interno
della chiesa c’erano delle tombe di prostitute, ma, quando venne traslato da Ostia Antica, luogo della
sua morte, il corpo di Santa Monica, la mamma di Sant’Agostino, miracolosamente sparirono le varie
tombe.

Questa particolare caratteristica della Basilica è forse il motivo per cui, nonostante le tante critiche, la
tela non venne mai rimossa dalla cappella, anzi, è sempre rimasta sull’altare e ammirata dai fedeli più
umili perché si immedesimavano con soddisfazione nei due viandanti inginocchiati.

Ora, una piccola curiosità: dove pensate si andassero a sedere le prostitute che assistevano alla
Messa? Davanti all’altare oppure in fondo alla Chiesa?

Tutti direbbero dietro, invece no: erano sempre sedute alle prime file in modo che gli uomini nobili e pii
che andavano a pregare non dovessero distogliere lo sguardo dall’altare perché avendo una bella
donna dietro si sarebbero girati, avendola davanti avrebbero fatto finta di seguire la messa ma
avrebbero anche goduto della bellezza di ciò che si vedevano di fronte.

Oltre al famoso dipinto di Caravaggio, nella Basilica di Sant’Agostino è presente anche una statua
titolata la Madonna del Parto, realizzata per incarico della famiglia Martelli di Firenze da Jacopo Tatti
detto il Sansovino nel 1516, che è tra le più venerate Madonne romane ed è considerata la protettrice
delle partorienti.

La tradizione vuole che sia stata realizzata adattando un’antica statua romana raffigurante Agrippina
con il piccolo Nerone in braccio.

Secondo la devozione popolare, la Madonna del Parto raffigura la Vergine, seduta in trono col
Bambino in piedi sulla gamba sinistra, sopra una base di marmi, circondata di innumerevoli ex voto a
seguito dei prodigi da lei operati: dal 1800, è invocata dalle donne che devono partorire e da quelle
che desiderano avere un bambino. Nel 1822 Papa Pio VII, concesse un’indulgenza a chiunque avesse
baciato il piede che sporge dall’ampio panneggio della Vergine.

Questa pia consuetudine ebbe un tale successo che il piede di marmo divenne in breve tempo
talmente consumato da rendere necessaria la sostituzione con un piede d’argento.

A causa delle pratiche devozionali, dalle decine di candele e lumini posti intorno a lei, l’uso di toccarla
spalmando olii profumati e vestirla di monili e corone, oltre al tempo e alle polveri, avevano fortemente
oscurato e segnato il suo marmo di Carrara con grandi macchie e vaste aree di colore bruno arancio.
È stato quindi necessario sottoporla ad un restauro bio a cura della Soprintendenza Speciale di Roma,
in collaborazione con Intesa San Paolo nell’ambito del programma Restituzioni Monumentali.

L’intervento di restauro è durato sei mesi e ha visto l’impiego anche di una metodologia non tradizionale
e all’avanguardia, come l’utilizzo di particolari batteri. Coltivati al Laboratorio Oem dell’Enea, sono
stati resi affamati proprio delle sostanze che ricoprivano l’opera, così da eliminarle senza danneggiarla e
senza l’uso di solventi chimici, nel pieno rispetto di ambiente e fruitori.

Per rimanere sulla Piazza di Sant’Agostino, non possiamo dimenticare la Biblioteca Angelica, un punto di
riferimento importantissimo per chi voglia studiare il pensiero di Sant’Agostino e la storia dell’Ordine
Agostiniana, la storia della Riforma protestante e della controriforma cattolica, visto l’enorme patrimonio
librario che conta più di 2700 manoscritti latini, greci e orientali, 24.000 documenti sciolti, più di 1100
incunaboli e 20.000 cinquecentine, più incisioni e carte geografiche.

Aperta nel 1604, la Biblioteca Angelica è considerata nel contesto europeo assieme alla Biblioteca
Ambrosiana di Milano e alla Biblioteca Bodleiana di Oxford come uno dei primi e più chiari esempi di
biblioteca "pubblica", ovvero di un’istituzione creata con il chiaro intento di fornire accesso ai libri ad
una comunità di lettori quanto più ampia possibile.

La Biblioteca Angelica venne fondata grazie al lascito del vescovo marchigiano Angelo Rocca (1546-
1620), da cui prese il nome. Questi, agostiniano, scrittore erudito e appassionato collezionista di
edizioni pregiate, responsabile della Tipografia Vaticana durante il pontificato di Sisto V, affidò la
propria ricca raccolta libraria ai frati del suo ordine presenti a Roma, dotandola di proprie rendite e
prescrivendone l’apertura a tutti, senza limite di sorta.

Dopo la morte di Rocca, il patrimonio della biblioteca iniziò molto presto ad accrescersi grazie a
nuove donazioni da parte di Lukas Holste (1661), custode della Biblioteca Vaticana, o l’acquisto,
grazie alle tante rendite, della biblioteca del Cardinale Domenico Passionei che, legato agli ambienti
giansenisti romani, aveva ricercato e acquistato libri pregiati nei viaggi svolti come inviato pontificio
nei Paesi dell’Europa protestante.

L’aumento dei libri portò l’ampliamento del salone monumentale della Biblioteca Angelica, operato
dall’architetto Luigi Vanvitelli e ultimato nel 1765.

La legge di eversione dell’asse ecclesiastico fece sì che la biblioteca fu acquisita nel 1873 dal neo
Stato italiano, che continuò con l’acquisizione di collezioni di opere inedite come quelle di
Giambattista Bodoni (1919) e alla fine del secolo di una curiosa raccolta di 954 libretti d’opera
ottocenteschi appartenuta a Nicola Santangelo, già ministro degli Interni del Regno delle Due Sicilie e
appassionato melomane.

Dal 1940 la Biblioteca Angelica è sede dell’Accademia letteraria dell’Arcadia, di cui conserva, tra
l’altro, il patrimonio librario (circa 4000 pezzi), e dal 1975 dipende dal Ministero dei Beni e delle attività
culturali e del turismo e nello stesso anno fu acquisita la collezione libraria del critico letterario Arnaldo Bocelli.


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Aprile 2024 © Maria Teresa Protto

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